La riforma della Giustizia Tributaria: le principali novità e i nodi irrisolti

Con l’ultima legislatura appena conclusa si è dato il via libera, con Legge n. 130/2022, alla riforma del processo tributario che introduce importanti modifiche strutturali all’intero impianto della giustizia tributaria, ormai da tempo ferma all’originaria formulazione del 1992.
Il sistema processuale tributario necessitava da anni un intervento di restyling, in modo da dare maggiori e celeri risposte alle richieste di giustizia che provengono in modo crescente da cittadini e imprese, e che sono caratterizzate sempre più da una maggiore complessità della materia.
La richiamata riforma, che rientra tra le misure per l’attuazione del c.d. PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), ha come obiettivo principale quello di migliorare la qualità delle sentenze tributarie, nonché quello di rendere più efficiente l’intero sistema processuale.
Ma ecco le principali modifiche della nuova legge:
– La cessazione della denominazione “Commissione Tributaria Provinciale e Regionale” e l’introduzione della “Corte di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado”;
– La previsione della figura del giudice tributario togato, con previsione di indizione di pubblico concorso per l’assunzione della nuova figura di magistrato;
– Possibilità per le controversie di valore inferiore ad Euro 50.000,00, sia su iniziativa delle parti, sia su impulso del Giudice, di addivenire alla conciliazione della controversia;
– L’ammissione della prova testimoniale in forma scritta;
Non vi è dubbio che tra le dette novità la previsione della figura del giudice tributario togato – che acquisirà le funzioni a seguito del superamento di un concorso pubblico – è la maggiore innovazione della riforma, poiché punta a fornire al sistema giudiziario un giudice altamente qualificato nel settore tributario.
Ma un altrettanto importante novità è rappresentata dall’art. 7, comma 5 bis, della Legge n. 130/2022, con cui si prevede che “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.
La detta norma introduce una radicale modifica in tema di onere della prova nel processo tributario, prevedendo che sia l’Amministrazione a dover provare la legittimità della pretesa impositiva per cui si procede.
Ove effettivamente applicata da parte dei giudici di merito, tale previsione avrebbe un carattere dirompente, poiché il contribuente sarebbe tenuto a fornire prova dell’illegittimità degli atti impositivi, mentre all’ufficio spetterebbe l’onere della prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria.
A parere di chi scrive la riforma è un ottimo punto di partenza per addivenire, anche con successivi interventi mirati, ad un sistema di giustizia tributaria maggiormente efficiente e capace di fornire risposte di giustizia adeguate.
La riforma, che nel complesso quindi è da accogliere con favore, presenta tuttavia un elemento di criticità nella parte in cui si mantiene lo stretto legame tra i Giudici Tributari e il M.E.F., da cui le Corti di Giustizia Tributaria dipendono direttamente, e che potrebbe portare ad un contrasto con il generale principio di autonomia e indipendenza.

Roma, 17 ottobre 2022

Avv. Valerio Impellizzeri

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